sabato 7 marzo 2009

I guerrieri del sogno

Quando Skado e Jagoren si distesero sui loro letti si addormentarono quasi immediatamente.
Ed il sonno li portò a rivivere le loro recenti esperienze

Il ranger morfico rievocò il suo sogno ricorrente: correre. In un momento stava schizzando tra le viuzze di Sharn, poi era sulla una pianura spoglia della Landa Gemente, infine si trovò in una foresta. Questa foresta era un luogo familiare. Gli alberi secolari, il silenzio e la pace di quel luogo gli fecero comprendere che si trovava al cospetto del Bosco Torreggiante nel cuore delle Terre dell’Eldeen. Riprese a correre, questa volta senza alcun vestito, ebbro della gioia di un morfico passolungo libero di muoversi nel suo ambiente naturale.

Il guerriero rivide la battaglia fuori da Forgiabianca e di come scaraventò lontano il soldato dell’Ordine grazie alla trave. Poi rivisse il terrificante incontro con il vampiro a Cava delle Rose ed infine si trovò a passeggiare per le vie di Atur, la sua città natale, in una grigia aurora. L’oscura piramide del Monastero Scarlatto dominava il paesaggio e Jagoren d’Deneith inspirò profondamente, provando la piacevole sensazione di sentirsi di nuovo a casa.

Le fronde frastagliate degli alberi che come una volta di una cattedrale impedivano alla luce di penetrare la penombra della foresta, coprivano l’euforica corsa di Skado. Come un animale nato in cattività ed improvvisamente libero da ogni costrizione di vita civile, il ranger morfico scorrazzava tra le radure e la boscaglia dell’infanzia. Si fermò per riprendere fiato di fronte ad un pino immenso. Con un balzo saltò sul primo ramo, e continuò ad arrampicarsi sempre più su, verso i rami più alti, fino ad arrivare dove gli alberi che avevano solo pochi secoli non potevano svettare. E lì in cima, in un amplesso di emozioni indescrivibili, contemplò la perfezione e l’immensità della foresta.
E dal cuore scuro del verde, si levò un profondo e lungo ululato.
Quell’ululato vibrò nel cuore di Skado, come se quel suono fosse in risonanza con il suo spirito. Sentì l’impulso irrefrenabile di raggiungere la sorgente di quel richiamo, e con il solo desiderio si ritrovò a terra, correndo.
Si rese conto che quella parte della foresta era diversa. Più cupa. Più silenziosa. Ma continuò, senza indugi.
Ad un certo punto comprese dove si trovava, verso dove stava andando. Si stava dirigendo verso la tetra regione di Bosco Torreggiante nota come Tramonto. Uno dei luoghi più pericolosi delle Terre dell’Eldeen, dal cui centro spesso emergevano aberrazioni che seminavano caos e morte al loro passaggio. Quelle stesse aberrazioni che tanto odiava.
Ma l’ululato si levò ancora alto nel silenzio della notte, ed egli corse verso quel suono, rapito dall’istinto e dalla consapevolezza di un incontro con il destino.
Ed infine giunse al limitare di una radura, e lì smise di correre. Le lune nella porzione di cielo visibile sopra di lui compivano le loro orbite e le loro fasi ad una velocità innaturale, ma non ci fece caso. Il suo sguardo era posato sulla creatura al centro della radura.
Seduto sulle zampe posteriori, un grosso lupo dal manto bianco e nero lo fissava immobile. Skado ebbe la sensazione che lo stesse aspettando.
Con passo cauto emerse dalla foresta e si avvicinò, fino a giungere a pochi passi dall’animale. Questo non si mosse, mentre il morfico si accovacciava sulle quattro zampe. Istintivamente evocò la sua empatia animale per creare un contatto con la bestia di fronte a lui, ma questa sembrava immune.
Trascorse qualche attimo in cui i due si fissarono reciprocamente. Sembrava che il tempo e lo spazio fossero stati congelati. Poi, senza alcun preavviso, il lupo rizzò il pelo, emise un basso ringhio e con un balzo prodigioso coprì la distanza che lo separava da Skado.



In questa visione onirica, Jagoren passeggiava per le strade deserte, con un vento gelido che gli sferzava il volto. E senza rendersene conto, si ritrovò in una piccola piazza. Guardandosi intorno per capire dove si trovasse una voce alle sue spalle lo chiamò:
«Ehi buckler!» e voltandosi vide la faccia dura di Tasra, «Con che coraggio ti presenti al cospetto della gilda?»
«Già!» e al suo fianco ora stava Lalia, crudele gemella di Tasra, «un incapace non è degno di portare il nome del nostro casato» e sputò per terra.
Jagoren sentì la rabbia montare dentro di lui come il soffio di un drago. Si trovò ad impugnare una spada dalla lama nera che alzò in posizione di guardia. Indossava un’armatura di un metallo lucente simile al platino, molto aderente al corpo ornata con delicati glifi e rune in mithral. Al ghigno di sfida delle sorelle, rispose con un fendente così rapido che penetrò il fianco di Tasra, facendola urlare per il dolore.
Le tecniche combinate delle due guerriere erano formidabili, ma Jagoren resistette a tutti gli attacchi. D’altro canto, egli rimaneva sulla difensiva. Anche se non davano alcun segno di stanchezza, ad ogni puntata, ad ogni nuovo colpo, Jagoren aveva la sensazione di poterle sconfiggere. Poi, quasi senza pensare, evocò il potere del suo marchio. Sentì il potere avvolgerlo come se indossasse un’armatura invisibile, e passò all’attacco. Lalia e Tasra giravano intorno a lui tentando di coglierlo alla sprovvista o con un fianco scoperto, ma lo scambio di colpi di Jagoren era sempre più rapido, sempre più potente. Fino a quando con un doppio attacco arrivò a colpire entrambe: Tasra fu trafitta al braccio perdendo la spada e Lalia fu gravemente ferita al ginocchio precludendole la possibilità di camminare.
Stava per finirle, quando, quasi fossero degli spiriti incorporei, i loro corpi si fecero fumosi ed iniziarono a turbinare davanti a lui, mescolandosi e divenendo qualcos’altro. Quel che un momento prima erano Tasra e Lalia d’Deneith ora era un’imponente figura, alta più di due metri, con indosso un’armatura spaventosa, armata di lancia, spada e scudo.
«Che fai?» chiese la figura con voce imponente, «Osi sfidare il tuo signore?»



La lotta tra il morfico ed il lupo era simile ad una zuffa tra cani, ma intramezzata da momenti di studio reciproco.
Se mai qualcuno avesse potuto vederla, sarebbe apparsa una lotta tra due animali selvaggi ed allo stesso tempo tra due creature senzienti. In realtà era una lotta tra due spiriti eletti.
Il lupo morse e graffiò Skado, mentre il morfico colpiva e tentava di immobilizzare l’animale.
Poi, con una mossa di straordinaria agilità, Skado riuscì a salire sulla schiena del lupo, e con braccia e gambe riuscì ad immobilizzarlo.
L’animale, sentendosi in trappola tentò di divincolarsi con potenti strattoni e cercò di azzannare il ranger, ma Skado non cedette.
Dopo vari tentativi, infine, il lupo si rassegnò alla sconfitta e si rilassò. Skado, prudentemente lasciò la presa e quando finalmente furono divisi si sollevarono da terra.
Il lupo lo fissava intensamente e quei profondi occhi blu sembravano comunicare ciò che la parola non poteva esprimere.
Ed in quel momento l’empatia che Skado aveva fallito all’inizio dell’incontro, si creò tra i due spiriti, toccando il morfico fin nel profondo. Percepì con assoluta certezza che l’essere che aveva di fronte fosse lì ad attenderlo da molto tempo. Aveva la sensazione che il loro incontro fosse stato determinato prima ancora che entrambi calcassero il suolo di Eberron.
Allungò la mano, per far sentire al compagno il suo odore.
Il lupo allungò il muso e lo annusò. Poi trascinò il suo capo sotto la mano di Skado, cercando una carezza, un contatto.
E Skado lo abbracciò, come si farebbe con un cucciolo di un cane domestico. Gli grattò le orecchie e pettinò con le dita il pelo della schiena, giocò un po’ con lui ed infine si stese sull’erba della radura guardando le lune e le stelle, ora fisse sulla volta celeste.
Il lupo si accovacciò al suo fianco, posando il muso sulle zampe anteriori incrociate, in attesa di una mossa del suo compagno.
Girando il capo, Skado lo guardò dritto negli occhi. Erano di un blu profondo e scuro come il cielo d’oriente appena dopo che il sole è tramontato.
«Dusk» disse, «Ti chiamerò Dusk», e chiuse gli occhi mentre si sentiva sollevare verso una nuova frontiera del sogno.

Jagoren esitò per un istante, percependo il potere che risiedeva in quella figura.
«Temi la mia potenza?» chiese ridendo il guerriero, come se avesse letto nella sua mente.
«Io non temo nulla!» rispose in sfida Jagoren.
«Nemmeno il tuo Signore? Il patriarca del tuo casato? Colui che hai giurato di servire?»
Jagoren strinse l’elsa della sua spada, incerto sul da farsi.
«Non sai cosa significhi avere vincoli.» continuò la voce roca: «La tua ambizione è solo sfrontatezza. La tua forza è guidata dalla tua vanagloria. E questo ti distruggerà.»
Le nocche della mano di Jagoren erano bianche dalla tensione. Quell’essere lo stava scuotendo da dentro. Sentiva che quel che diceva era un’amara verità. Ma non l’accettava.
«Fallo!» lo sfidò: «Fallo, se ne hai il coraggio!»
E Jagoren non resistette, e attaccò il signore.
Il guerriero lanciò una serie di attacchi estremamente veloci e potenti contro il suo nemico, ma questi sembrava respingerli senza sforzo.
Un colpo passò pericolosamente a pochi centimetri dall’elmo del signore, e questi sembrò reagire spazientito. Un’aura fumosa di energia scarlatta fuoriusciva dall’armatura e un impulso proruppe dal suo essere, e come un’onda d’urto investì Jagoren, che rotolò a terra.
Alzandosi sentì un dolore al petto e si rese conto di avere una profonda bozza all’altezza del pettorale dell’armatura. Se non l’avesse avuta, probabilmente quel colpo lo avrebbe ucciso, pensò.
La lotta impari continuò, e anche se Jagoren subiva ferite ad ogni schermaglia, non erano mai gravi. Dolorose, ma mai mortali. Era certo che quella lotta avrebbe decretato solo un vincitore, e che lo sconfitto avrebbe dovuto pagare un lento stillicidio di agonia. Ebbe la certezza che non esistesse la benché minima possibilità che quel vincitore fosse lui. E mentre sentiva che la vita gli stava scorrendo via, come il sangue che perdeva, per la prima volta nella sua breve esistenza, fu consapevole di non essere all’altezza di quell’incontro. La sua morte era imminente.
Riverso a terra, su una piazza lorda del suo sangue, prostrato ai piedi di un avversario troppo potente per lui, attendeva il colpo di grazia. Ma questi rinfoderò la spada e si posizionò sulla schiena la lancia e lo scudo. Poi si inginocchiò e gli mise il guanto di ferro sulla fronte.
Jagoren sentì il suo corpo pervaso da una sensazione di conforto e ristoro. Sentì le ferite rimarginarsi e le forze tornare. Poi le braccia del suo signore lo afferrarono per il petto e lo alzarono in piedi, quasi fosse un bambino caduto a terra raccolto da un padre premuroso.
Era confuso ed incapace di parlare.
«La strada è lunga e la meta è lontana.» disse con voce calma e fredda.
Gli mise una mano sulla spalla e Jagoren ebbe l’impressione di scorgere un sorriso sotto l’elmo, ma non poté averne conferma, perché tutt’intorno a lui iniziò a pulsare un riverbero. Questo divenne chiarore intenso ed infine luce accecante.
Non vide più nulla e cieco nella luce si sentì cadere nel vuoto del suo sogno.

Sul, Ottavo giorno di Vult
Cronache di Eberron - 998 AR

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