domenica 13 luglio 2008

Il cerchio si stringe

La ricompensa di Lady Elaydren fu generosa.
Non fecero molte domande su quale fosse lo scopo o la funzione dello schema. Sapevano che la nobile Cannith non avrebbe mai detto nulla di veramente importante, tanto valeva chiedere.
Quando si congedarono, Lady E. li ringraziò a nome del casato dei costruttori e chiese loro di rimanere a disposizione e di verificare di tanto in tanto, l'arrivo di eventuali comunicazioni alla stazione di recapito messaggi del casato Sivis.

Dopo qualche settimana trascorsa ad oziare, i quattro amici decisero che troppe erano le domande a cui dare una risposta.

Chi sono questi Cannith, veramente?
Perché tutti quei forgiati fanatici erano interessati a mettere le mani sugli schemi?
Chi è veramente Lady Elaydren, e soprattutto cosa temeva?
Cos'è quell'orrore che Jagoren ha risvegliato?
E quel ciondolo ora sigillato nello scrigno nero, cosa rappresenta?

«C'è solo un luogo qui a Sharn, che può soddisfare la nostra curiosità.» indicò Pilgrim: «L'università di Morgrave! Lì abbiamo qualche possibilità di trovare qualche indizio.»
«E cosa aspettiamo ad andarci?» esclamò Skado saltando dallo sgabello: «Sono settimane che oziamo, spendendo i nostri soldi in vino e donne alla "Fiamma" giù a Menthis Intermedio.»
«Già.» commentò assorto Kherydan: «Tu in particolare. Comunque è ora di rimetterci a fare ciò che sappiamo fare meglio: cercare guai.»
«Concordo!» intervenne ironico Jagoren: «Ma dobbiamo essere accorti. Portiamo i nostri averi alla Banca Kundarak. Compreso lo scrigno nero. E poi andiamo a raccogliere informazioni.»

E così fecero.
L'istituto finanziario più potente di tutta Eberron, accolse molto volentieri i copiosi beni degli avventurieri. Emise le quattro lettere di certificazione del deposito personale, che i quattro amici lasciarono a Lulshen.

Raggiunsero la biblioteca di Morgrave, e dopo essersi presentati, esposero lo scopo della loro visita ad un giovane studente mezzelfo di nome Thilarn.


Di indole socievole, incuriosito dalle variegate richieste dei quattro amici, decise di far loro da precettore, e li scortò fino alla Libreria Universitaria.

Le scoperte che fecero, furono sconcertanti.

Il casato Cannith fece la sua comparsa circa 2500 anni fa. Da semplici artigiani e riparatori, accostandosi sempre più alle arti arcane, divennero i più formidabili artimaghi del mondo. Forgiati, Treno Folgore e le stesse Torri di Sharn, sono frutto della loro arte. Il casato controlla la Gilda dei Riparatori e quella dei Fabbricanti. La prima si occupa della riparazione e manutenzione di infrastrutture, costrutti e oggetti di uso diffuso; la seconda si occupa tipicamente di grandi opere, artifici e magia. Dopo il giorno della tragedia, in cui il patriarca e l'intero Cyre vennero spazzati via, tre figure si contendono il dominio sul casato: Jorlanna d'Cannith di Fairhaven, Merrix d'Cannith a Sharn e Zorlan d'Cannith a Korth. Questa diatriba rappresenta la più grande crisi mai affrontata dal casato, e si teme lo scisma.

Sui forgiati, non trovarono molto più di quanto già conoscevano. L'unico elemento che li incuriosì furono dei rapporti che indicavano continui avvistamenti di forgiati particolarmente aggressivi nei pressi della Landa Gemente.


Su Lady E. e sull'orrore che risvegliarono non trovarono assolutamente nulla, ma su un antico tomo religioso, riconobbero il simbolo che appariva sul ciondolo. Scoprirono essere l'effige della Dea Furia. Una dea rinnegata, adorata da tutti coloro che consumati dalla passione, giungono alla pazzia.

«Mi sembri preoccupato» chiese Pilgrim a Jagoren.
«Non ho trovato le risposte che mi aspettavo...» rispose meditabondo il nobile Deneith: «Sono certo che non è finita qui...»

Gli amici ringraziarono Thilarn e tornarono alla Fossa di Lulshen. Lì trascorsero altre settimane, senza che nulla di rilievo accadesse. Le uniche note interessanti furono i ricorrenti articoli sullo Sharn Inquisitive, che riportavano le indagini inconcludenti sulla strana morte di un altro ricercatore che partecipò alla spedizione ir'Tain a Xen'Drik; a cui sempre seguivano le visite di Lalia e sua sorella Tasra, della Gilda dei difensori e che procuravano ogni volta a Jagoren un pessimo umore. Sembrava che quelle due trovassero gusto ad umiliare il giovane, specie in publlico.

Fino a quando, una mattina di metà Arith, il sergente Dolom venne alla fossa e chiese di parlare con Kherydan.
Si presentarono tutti, ovviamente, ma il nano veterano, si rivolse solo a lui.



«Da quando vi ho incontrati, ci sono stati troppi avvenimenti oscuri» iniziò Dolom: «Ragazzo, tu mi sei simpatico, ma da quando è morto il prevosto Bonal Geldem, sembra che i guai si siano riversati su questa città. Ed in particolare sul mio distretto.»
«Che intendi dire?» chiese Kherydan.
«Intendo che dopo quell'assassinio irrisolto e senza alcun apparente movente,» gli amici si scambiarono una rapida occhiata, «sono morti altri due esploratori di Xen'Drik in modo assolutamente inspiegabile, con addirittura chi afferma di aver visto scorpioni attorno ai cadaveri. Poi riemergono dalle fogne cadaveri di gente sconosciuta. Ed ultimamente dagli Ingranaggi, durante alcuni scavi di ampliamento, qualche operaio risulta scomparso.»



«E noi che cosa c'entriamo in tutto questo?» chiese Kherydan calmo.
«A parte il fatto che siete sempre nei dintorni?» incalzò il nano seriamente.
«La questione dello gnomo esploratore è affare della Gilda dei Difensori, e Jagoren è già impegnato con i suoi per la questione. Per l'assassinio del prevosto, mi sembrava ormai chiusa la faccenda. Per i cadaveri nelle fognature, non ne sappiamo niente, e per...» ma fu interrotto da Dolom.



«Invece non ne sarei tanto sicuro.» disse alzandosi dallo sgabello e puntando l'indice accusatore su tutti loro: «Un testimone ha fatto la descrizione di quattro individui che cercavano la valvola E-213, e questa descrizione è incredibilmente somigliante a voi.»
«E chi sarebbe questo testimone?» chiese Kherydan con incredibile freddezza, a differenza degli altri che si chiusero in un teso silenzio.
«Beh... diciamo che non è importante che sappiate chi è.» rispose elusivamente Dolom, rimettendosi seduto.
«Non direi proprio!» esplose strategicamente il kalashtar, avendo capito che si riferiva al goblin Skakan: «Visto che dalla reputazione di un testimone, dipende quasi sempre la sua attendibilità!»



«Comunque sia,» interruppe il sergente: «Ero venuto qui per chiedere il vostro aiuto, proprio sull'ultima questione: gli operai scomparsi agli Ingranaggi.»
«Sentiamo, e in cambio di cosa?» chiese Kherydan fermo.
«Mmm... intanto volevo capire se eravate interessati, poi per gli eventuali accordi, ne parleremo.» concluse.
I quattro amici si scambiarono uno sguardo d'intesa, ed infine Kherydan disse: «Ci penseremo.»



Il nano li guardò tutti seriamente, con un occhi scrutatori e saggi.
«D'accordo.» disse alzandosi di scatto. Si diresse alla porta, ma prima di sparire si voltò: «Non dimenticate che siete ospiti qui a Sharn, la mia città. Vi tengo d'occhio.»

I quattro attesero qualche istante che il sergente si fosse allontanato, poi decisero sul da farsi.
«Che facciamo?» chiese Pilgrim.
«Oggi è Mol, quindi dobbiamo fare un salto alla stazione di recapito, per vedere se c'è qualcosa da parte di Lady E.» rispose direttamente Kherydan.
«Ottimo! Speriamo ci siano buone nuove!» esclamò gaiamente Skado il ranger.
«Ho una strana sensazione.» ammise Jagoren.
«Che sensazione?» chiese Kherydan preoccupato.



«Come se intorno a noi, il cerchio si stringesse...»

Mol, Ventiduesimo giorno di Aryth

Cronache di Eberron - 998 AR

Il nemico si rivela e un orrore riemerge dalla roccia

Riposarono per qualche ora, giusto per riprendersi dagli scontri che li avevano sfiniti.

«Dobbiamo tornare. Lady Elaydren ci attende» suggerì Jagoren
«Si, ma dove sarà finito Skado?» chiese Pilgrim
«Arriverà, non temere» confortò Kherydan

Riemersero dalla forgia Cannith e mentre si apprestavano a ripercorrere la strada che li aveva condotti nelle profondità di Sharn, dall'ombra di un'antica colonna di pietra, emerse un forgiato.

Avvolto nel mantello, brandiva minaccioso uno stocco di pregiata fattura. Mentre teneva gli occhi rossi fissi sul gruppo, urlò: «Maledetti! Io sono Saber, e ciò che avete preso dalla forgia mi appartiene! Lasciate tutto a terra e forse vi risparmierò la vita!».
«Sei pazzo!» gli urlò Jagoren estraendo la mazza.
«Perché affermi essere tue queste cose? Come puoi provarlo?» chiese Kherydan, ponendo un braccio a fermare l'ira del nobile.
«Ma perché fai sempre domande inutili Kher?», e Skado comparve con un balzo acrobatico, finendo proprio accanto a Kherydan, con il suo solito sorriso sardonico stampato in volto, «Quello simpatico sono io!».
«Lasciate a terra la roba, o morite!», minacciò Saber.
Ed un quadrello sibilò a pochi centimetri dalla testa di Saber, lanciato da Pilgrim in risposta alla sfida.

E la battaglia ebbe inizio.

Jagoren, come sempre, cercò di schiacciare il nemico, mentre Kherydan, Skado e Pilgrim tentavano di attaccarlo a distanza.
Saber combatté con ferocia, urlando vendetta per i forgiati caduti e dedicando ogni colpo andato a segno al suo Signore, chiunque fosse.
Ma alla fine cadde.
Fu un fendente della spada di Kherydan a finirlo.
Cadde lentamente, prima posando un ginocchio, come se volesse resistere, poi rovinò a terra, con la faccia rivolta al suolo.

Poco dopo si sentì uno strano sibilo.

«Un altro messaggero finale!» gridò Pilgrim.
«Ma... non sembrerebbe... le altre volte non aveva fatto questo rumore...» avvertì Kherydan.
«Sono stanco di questa storia!» e Jagoren girò il corpo di Saber.

Il sibilo si fece sempre più acuto e più forte.
«Per il Karrnath! Ma che cos....?»

E un'esplosione investì in pieno Jagoren sbalzandolo alcuni metri più in là, colpendo di striscio gli altri.

Dopo qualche istante i tre si rialzarono e corsero a constatare le condizioni di Jagoren.
«Si riprenderà, non è grave» constatò Skado.
«Non ti chiedo nemmeno dove diamine sei stato, e non voglio nemmeno saperlo!» lo rimproverò Kherydan.
«Invece ti interesserà! E interesserà anche lui.» aggiunse indicando Jagoren.

Dopo una fiala curativa ed una buona mezzora di riposo, Jagoren riuscì a rialzarsi stabile sulle gambe.
Di Saber non rimase molto.
«Questo bastardo si è fatto esplodere» commentò il guerriero.
«Almeno controlliamo se ha lasciato qualcosa di utile» suggerì Pilgrim.
A parte lo stocco, che Pilgrim fece suo, non trovarono molto, ma spostando i resti del forgiato Skado notò qualcosa: «Ehi! Venite a dare un'occhiata. C'è qualcosa qui.»
A terra, proprio dove fu l'epicentro dell'esplosione, emerse un bassorilievo a forma circolare. Rimossero la secolare polvere e tornò alla luce una sorta di disco con strane rune incise sopra, con degli incavi su due estremità.
«Lasciamo perdere...» suggerì Kherydan.
«Paura?» lo incalzò Jagoren.
«No, è che non mi piace affatto. Ho una brutta sensazione.» rispose.
Senza che desse loro il tempo, Jagoren aveva già infilato le mani sotto il disco e tentò di sollevarlo.
Si sentì uno scatto, come di un meccanismo.
«Sembra che si possa ruotare... Come una maniglia...» e girò.

Per un istante fu il silenzio.
Poi la terra iniziò a tremare. Dal soffitto precipitarono frammenti di roccia e polvere.
La colonna innanzi a loro scivolò nel pavimento, come fosse una parete a scomparsa, rivelando un'oscura presenza.

Apparve loro uno scheletro ritto di un individuo incatenato al muro. A terra poco distante, un piccolo scrigno di colore oscuro. L'unico oggetto indossato dall'essere inanimato era un ciondolo che pendeva dal suo collo e arrivava fino al centro del petto.
«Da vivo dev'essere stato un orco, o roba simile!» esclamò Skado mentre esaminava il cadavere.
«No. Il cranio e le ossa dimostrano che era umano. Incredibilmente grande, certamente. Ma umano.» concluse Pilgrim.
«E da quanto si trova qui?» chiese Kherydan.
«Da secoli.» rispose il forgiato «Vedete queste rune e incisioni? Risalgono addirittura a prima della fondazione di Sharn. Sono dell'era dell'impero goblin Dhakaan. Sono disposte a semicerchio intorno al prigioniero... Quasi a vincolarlo...»
«La cosa non mi piace.» ribatté Kherydan, «Andiamocene».
«Un momento!» contestò Jagoren, «Se lo hanno rinchiuso qui, voglio cercare di capire il perché.» e prese in mano lo scrigno.
«Un impero antico e sanguinario, come quello goblin, cattura questo tizio. Probabilmente lo temevano e decidono di portarlo nelle viscere della terra. Lo incatenano ad una roccia. Ci scrivono sopra non so quante maledizioni in goblinoide. Non contenti lo sigillano con un muro di roccia immenso, e lo lasciano marcire qui per l'eternità.» rifletté Skado «Siamo proprio sicuri che non sarebbe meglio andarcene?».
Armeggiando sull'antico oggetto, Jagoren riuscì ad aprirlo.
«Vuoto...» commentò.
«Ecco, visto? Non c'è niente. Andiamo?» incalzò Skado.
Ma Jagoren, dopo aver posato lo scrigno, stava osservando il ciondolo che aveva sfilato dal collo dello scheletro. Con le dita ripulì alla meglio il disco grande quanto una mano. Era di un metallo simile all'onice, ma molto più pesante. Sopra era disegnata una strana effige: un essere serpentiforme alato dalla testa puntuta con le braccia rivolte al cielo e la bocca spalancata.
«Avete notato come il corpo si sia conservato perfettamente, nonostante tutti questi secoli?» commentò Pilgrim.
«Ed avete notato che al tatto, questa cosa è... tiepida?» chiese sensibilmente preoccupato Kherydan.«Io insisto: ANDIAMOCENE!» arrivò ad urlare il morfico.
Ma Jagoren, cocciuto com'era, ignorò gli avvertimenti ed i consigli degli amici. Con il ciondolo su una mano e lo scrigno dall'altra, decise di inserire l'un0 nell'altro.

Appena il ciondolo fu posato, lo scrigno si serrò di scatto.
Jagoren, colto alla sprovvista, tentò di riaprirlo, ma inutilmente.
I suoi occhi e quelli dei compagni erano fissi sullo scheletro.
Per qualche momento sembrò non accadere nulla. Poi il corpo dell'essere sembrò assumere un colore più rossastro e un forte calore sembrava provenire proprio da lì. Le catene che lo sorreggevano divennero rosse come se fossero dentro una forgia, e si fusero, gocciolando a terra.
La testa dell'essere ebbe un piccolo sussulto, e poi si sollevò.
Gli occhi vuoti ed oscuri, si animarono di una piccola luce rossa, sempre più intensa e si fissarono su Jagoren.
Sollevò le braccia e si guardò le mani. Prima palmo e poi dorso. Prima una e poi l'altra.
Poi le strinse a pugno e guardandosi, come stupito, il resto del corpo, sembrò vibrare di una rabbia muta e terribile.
E il suo corpo, con una vampata, s'incendiò.
Ora i suoi terribili occhi erano fissi su Jagoren. Fece un passo. Poi un altro, e dirigendosi verso il giovane Deneith.
Gli amici tentarono di frapporsi tra l'essere fiammeggiante e l'amico, ma il terrore li inchiodò.

Quando fu ad un passo da Jagoren, sovrastandolo con la sua immensità e potere, alzò un braccio e puntò l'indice vibrante della mano destra sulla sua faccia.
Il dito era a pochi centimetri dal volto del giovane, e Jagoren poté percepire con assoluta chiarezza il calore assassino delle fiamme.
E mentre lo puntava, l'essere bisbigliò con voce profonda: «Tu...».

Poi ci fu un lampo accecante. Una luce che investì tutti, costringendoli a coprire gli occhi. Durò pochi istanti e poi scomparve. Portando con se anche l'essere fiammeggiante.

«Ora possiamo tornare», concluse il guerriero con un filo di voce.



Sar, Quattordicesimo giorno di Barrakas
Cronache di Eberron – 998 AR