domenica 13 luglio 2008

Il nemico si rivela e un orrore riemerge dalla roccia

Riposarono per qualche ora, giusto per riprendersi dagli scontri che li avevano sfiniti.

«Dobbiamo tornare. Lady Elaydren ci attende» suggerì Jagoren
«Si, ma dove sarà finito Skado?» chiese Pilgrim
«Arriverà, non temere» confortò Kherydan

Riemersero dalla forgia Cannith e mentre si apprestavano a ripercorrere la strada che li aveva condotti nelle profondità di Sharn, dall'ombra di un'antica colonna di pietra, emerse un forgiato.

Avvolto nel mantello, brandiva minaccioso uno stocco di pregiata fattura. Mentre teneva gli occhi rossi fissi sul gruppo, urlò: «Maledetti! Io sono Saber, e ciò che avete preso dalla forgia mi appartiene! Lasciate tutto a terra e forse vi risparmierò la vita!».
«Sei pazzo!» gli urlò Jagoren estraendo la mazza.
«Perché affermi essere tue queste cose? Come puoi provarlo?» chiese Kherydan, ponendo un braccio a fermare l'ira del nobile.
«Ma perché fai sempre domande inutili Kher?», e Skado comparve con un balzo acrobatico, finendo proprio accanto a Kherydan, con il suo solito sorriso sardonico stampato in volto, «Quello simpatico sono io!».
«Lasciate a terra la roba, o morite!», minacciò Saber.
Ed un quadrello sibilò a pochi centimetri dalla testa di Saber, lanciato da Pilgrim in risposta alla sfida.

E la battaglia ebbe inizio.

Jagoren, come sempre, cercò di schiacciare il nemico, mentre Kherydan, Skado e Pilgrim tentavano di attaccarlo a distanza.
Saber combatté con ferocia, urlando vendetta per i forgiati caduti e dedicando ogni colpo andato a segno al suo Signore, chiunque fosse.
Ma alla fine cadde.
Fu un fendente della spada di Kherydan a finirlo.
Cadde lentamente, prima posando un ginocchio, come se volesse resistere, poi rovinò a terra, con la faccia rivolta al suolo.

Poco dopo si sentì uno strano sibilo.

«Un altro messaggero finale!» gridò Pilgrim.
«Ma... non sembrerebbe... le altre volte non aveva fatto questo rumore...» avvertì Kherydan.
«Sono stanco di questa storia!» e Jagoren girò il corpo di Saber.

Il sibilo si fece sempre più acuto e più forte.
«Per il Karrnath! Ma che cos....?»

E un'esplosione investì in pieno Jagoren sbalzandolo alcuni metri più in là, colpendo di striscio gli altri.

Dopo qualche istante i tre si rialzarono e corsero a constatare le condizioni di Jagoren.
«Si riprenderà, non è grave» constatò Skado.
«Non ti chiedo nemmeno dove diamine sei stato, e non voglio nemmeno saperlo!» lo rimproverò Kherydan.
«Invece ti interesserà! E interesserà anche lui.» aggiunse indicando Jagoren.

Dopo una fiala curativa ed una buona mezzora di riposo, Jagoren riuscì a rialzarsi stabile sulle gambe.
Di Saber non rimase molto.
«Questo bastardo si è fatto esplodere» commentò il guerriero.
«Almeno controlliamo se ha lasciato qualcosa di utile» suggerì Pilgrim.
A parte lo stocco, che Pilgrim fece suo, non trovarono molto, ma spostando i resti del forgiato Skado notò qualcosa: «Ehi! Venite a dare un'occhiata. C'è qualcosa qui.»
A terra, proprio dove fu l'epicentro dell'esplosione, emerse un bassorilievo a forma circolare. Rimossero la secolare polvere e tornò alla luce una sorta di disco con strane rune incise sopra, con degli incavi su due estremità.
«Lasciamo perdere...» suggerì Kherydan.
«Paura?» lo incalzò Jagoren.
«No, è che non mi piace affatto. Ho una brutta sensazione.» rispose.
Senza che desse loro il tempo, Jagoren aveva già infilato le mani sotto il disco e tentò di sollevarlo.
Si sentì uno scatto, come di un meccanismo.
«Sembra che si possa ruotare... Come una maniglia...» e girò.

Per un istante fu il silenzio.
Poi la terra iniziò a tremare. Dal soffitto precipitarono frammenti di roccia e polvere.
La colonna innanzi a loro scivolò nel pavimento, come fosse una parete a scomparsa, rivelando un'oscura presenza.

Apparve loro uno scheletro ritto di un individuo incatenato al muro. A terra poco distante, un piccolo scrigno di colore oscuro. L'unico oggetto indossato dall'essere inanimato era un ciondolo che pendeva dal suo collo e arrivava fino al centro del petto.
«Da vivo dev'essere stato un orco, o roba simile!» esclamò Skado mentre esaminava il cadavere.
«No. Il cranio e le ossa dimostrano che era umano. Incredibilmente grande, certamente. Ma umano.» concluse Pilgrim.
«E da quanto si trova qui?» chiese Kherydan.
«Da secoli.» rispose il forgiato «Vedete queste rune e incisioni? Risalgono addirittura a prima della fondazione di Sharn. Sono dell'era dell'impero goblin Dhakaan. Sono disposte a semicerchio intorno al prigioniero... Quasi a vincolarlo...»
«La cosa non mi piace.» ribatté Kherydan, «Andiamocene».
«Un momento!» contestò Jagoren, «Se lo hanno rinchiuso qui, voglio cercare di capire il perché.» e prese in mano lo scrigno.
«Un impero antico e sanguinario, come quello goblin, cattura questo tizio. Probabilmente lo temevano e decidono di portarlo nelle viscere della terra. Lo incatenano ad una roccia. Ci scrivono sopra non so quante maledizioni in goblinoide. Non contenti lo sigillano con un muro di roccia immenso, e lo lasciano marcire qui per l'eternità.» rifletté Skado «Siamo proprio sicuri che non sarebbe meglio andarcene?».
Armeggiando sull'antico oggetto, Jagoren riuscì ad aprirlo.
«Vuoto...» commentò.
«Ecco, visto? Non c'è niente. Andiamo?» incalzò Skado.
Ma Jagoren, dopo aver posato lo scrigno, stava osservando il ciondolo che aveva sfilato dal collo dello scheletro. Con le dita ripulì alla meglio il disco grande quanto una mano. Era di un metallo simile all'onice, ma molto più pesante. Sopra era disegnata una strana effige: un essere serpentiforme alato dalla testa puntuta con le braccia rivolte al cielo e la bocca spalancata.
«Avete notato come il corpo si sia conservato perfettamente, nonostante tutti questi secoli?» commentò Pilgrim.
«Ed avete notato che al tatto, questa cosa è... tiepida?» chiese sensibilmente preoccupato Kherydan.«Io insisto: ANDIAMOCENE!» arrivò ad urlare il morfico.
Ma Jagoren, cocciuto com'era, ignorò gli avvertimenti ed i consigli degli amici. Con il ciondolo su una mano e lo scrigno dall'altra, decise di inserire l'un0 nell'altro.

Appena il ciondolo fu posato, lo scrigno si serrò di scatto.
Jagoren, colto alla sprovvista, tentò di riaprirlo, ma inutilmente.
I suoi occhi e quelli dei compagni erano fissi sullo scheletro.
Per qualche momento sembrò non accadere nulla. Poi il corpo dell'essere sembrò assumere un colore più rossastro e un forte calore sembrava provenire proprio da lì. Le catene che lo sorreggevano divennero rosse come se fossero dentro una forgia, e si fusero, gocciolando a terra.
La testa dell'essere ebbe un piccolo sussulto, e poi si sollevò.
Gli occhi vuoti ed oscuri, si animarono di una piccola luce rossa, sempre più intensa e si fissarono su Jagoren.
Sollevò le braccia e si guardò le mani. Prima palmo e poi dorso. Prima una e poi l'altra.
Poi le strinse a pugno e guardandosi, come stupito, il resto del corpo, sembrò vibrare di una rabbia muta e terribile.
E il suo corpo, con una vampata, s'incendiò.
Ora i suoi terribili occhi erano fissi su Jagoren. Fece un passo. Poi un altro, e dirigendosi verso il giovane Deneith.
Gli amici tentarono di frapporsi tra l'essere fiammeggiante e l'amico, ma il terrore li inchiodò.

Quando fu ad un passo da Jagoren, sovrastandolo con la sua immensità e potere, alzò un braccio e puntò l'indice vibrante della mano destra sulla sua faccia.
Il dito era a pochi centimetri dal volto del giovane, e Jagoren poté percepire con assoluta chiarezza il calore assassino delle fiamme.
E mentre lo puntava, l'essere bisbigliò con voce profonda: «Tu...».

Poi ci fu un lampo accecante. Una luce che investì tutti, costringendoli a coprire gli occhi. Durò pochi istanti e poi scomparve. Portando con se anche l'essere fiammeggiante.

«Ora possiamo tornare», concluse il guerriero con un filo di voce.



Sar, Quattordicesimo giorno di Barrakas
Cronache di Eberron – 998 AR

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